Festival dello sport: un grande successo, ma si doveva pensare ancor di più a propogandare l’attività sportiva
Sono appena rientrato dalla partecipazione ad alcuni degli eventi organizzati per il Festival dello Sport, alla sua seconda edizione nella città di Trento e che si è tenuto tra il 10 e il 13 ottobre scorso.
Inaugurato lo scorso anno, sempre a Trento, il Festival è destinato a diventare il secondo grande appuntamento in città, dopo il Festival dell’Economia di giugno. Oggi come oggi promette di battere ogni record di pubblico: ne sono una prova le infinite code all’ingresso degli eventi, la presenza di visitatori da tutta Italia, gli hotel e i ristoranti pieni: pura linfa per una città che ha bisogno estremo di queste iniziative per far girare l’economia.
Una sfilata di stelle
La peculiarità della manifestazione, quest’anno intitolata “Il Fenomeno, I Fenomeni” è la massiccia presenza di grandi stelle dello sport, che arrivano a Trento per raccontare la propria carriera sportiva.
Per qualche giorno, il capoluogo diventa il palcoscenico su cui salgono grandi personaggi dello sport: il Milan degli Immortali, capaci, nel biennio 89-91 di vincere due Coppe dei Campioni grazie alle geniali innovazioni tattiche di Arrigo Sacchi, il portiere della Juve Gigi Buffon e la sua compagna di vita e giornalista sportiva di Sky Ilaria D’Amico, gli sciatori pigliatutto Deborah Compagnoni ed Alberto Tomba, la squadra di basket acrobatico degli Harlem Globetrotters, il campione paralimpico Alex Zanardi e moltissimi altri.
Ma come è possibile che si riesca a mettere insieme una presenza così massiccia di grandi protagonisti dello sport? Molto semplice: il Festival è organizzato da RCS, il gruppo editoriale di Urbano Cairo, che fa capo alla Gazzetta dello Sport, il quotidiano sportivo nazionale di maggior tiratura.
Gli eventi principali si sono tenuti sul palco dell’Auditorium Santa Chiara, del Teatro Sociale e in Sala Depero, nel palazzo della Provincia. Ma si poteva ascoltare e parlare di sport anche alle Gallerie Piedicastello, o al Palazzo delle Albere, dove è stata allestita una mostra dedicata al mito di Michael Schumacher, il sette volte campione del mondo di Formula 1.
Tanto, tanto sport raccontato, visto e toccato con mano. Una manna per gli appassionati, che hanno avuto l’opportunità di avvicinarsi a queste stelle, normalmente distanti anni luce dalla vita di tutti i giorni.
Girando per Trento nel corso della manifestazione, si ha una duplice sensazione. Da un lato si ha la chiara percezione di una città che per qualche giorno si scrolla di dosso quell’antipatica etichetta di prima della classe in Italia (in coabitazione con la vicina Bolzano) e si rende disponibile ad essere “usata” dalle persone che ci abitano e che la vengono a visitare.
Dall’altro il vociare dello sport televisivo, divinizzato, consumato in dosi extralarge (anche da chi scrive, non ho remore ad ammetterlo) fa un po’ a pugni con un territorio trentino in cui lo sport è vissuto più con l’obiettivo del benessere fisico, che per il suo risvolto mediatico. È una conseguenza diretta della orografia fisica e culturale del luogo e del suo strettissimo rapporto con la natura, che poco ha a che fare con la competitività spinta dello sport delle stelle.
Lo sport praticato
A onor del vero, sarebbe ingeneroso dire che al Festival dello Sport si sia messo l’accento solo sull’aspetto competitivo dello sport, perché le opportunità di provare sport non sono mancate.
In piazza Santa Maria è stata allestita una palestra di arrampicata, con due pareti artificiali, una alta una decina di metri, un’altra più breve, per i più piccoli. Il cuore dell’iniziativa infatti non era tanto l’incontro con i campioni del climbing qualificati per i Mondiali in Giappone, ma un altro incontro: quello di giovani (sopra i 6 anni!) e meno giovani con l’arte, la sfida dell’arrampicare. Bastava iscriversi, e per i minori l’assenso dei genitori. Le salite avvenivano a coppie di due, su percorsi paralleli. Una sfida quindi, tra fratelli, tra amici, tra due persone accoppiate a caso. Ma una sfida dolce, come sottolineava la guida alpina che commentava al microfono, e all’occorrenza dava suggerimenti: una competizione tranquilla, più con se stessi che con l’altro, e sempre senza l’ansia della performance. Per chi passava, magari casualmente, era bello fermarsi a guardare, e amichevolmente condividere quei momenti di sport: impegnativo, eppur rilassante.
Inoltre, in altri luoghi del centro città, sono stati allestiti, da parte delle rispettive federazioni, un campo da calcio in sintetico in piazza Fiera ed uno di basket in piazza Dante; in queste strutture temporanee bambini e adolescenti hanno potuto provare le discipline, con il chiaro obiettivo di spingere più persone possibili alla pratica dello sport. Qui sono stati organizzati anche incontri con campioni e allenatori affermati (ad esempio Totò Schillaci e Arrigo Sacchi per il calcio, l’Aquila Basket e Dan Peterson per il basket). Ma nessun agonismo, nessuna ansia da competizione: solo la gioia di condividere un momento di sport in compagnia. In questo contesto, la presenza dei campioni serve ad attrarre pubblico alla pratica diretta dello sport ed è un bene.
Il bilancio
Il Festival dello Sport ha evidenziato quindi due facce di una stessa medaglia: il lato mediatico-spettacolare e quello dello sport come veicolo di salute e benessere personale. Volendo fare un bilancio tra questi due aspetti, la componente mediatico-spettacolare ha fatto decisamente la parte del leone.
Ed è proprio su questo aspetto che vogliamo soffermarci, per capire se un Festival organizzato come una enorme trasmissione televisiva lunga quattro giorni con ospiti illustri non sia in realtà un’occasione persa, visto che gli adolescenti costituiscono una grande fetta del pubblico del Festival stesso.
Il problema in Italia è significativo e lo conferma una indagine ISTAT del 2017 sulla pratica sportiva, in cui si afferma che “la pratica dello sport è massima tra i ragazzi di 11-14 anni (70,3%, di cui 61% in modo continuativo e 9,3% in modo saltuario) e tende a decrescere con l’età” (Fonte ISTAT, 2017). I dati dicono che tra i 15 e i 17 anni si scende al 63,4 per cento per arrivare al 54 tra i 18 e i 24. Si tratta del cosiddetto fenomeno del dropout sportivo, ossia dell’abbandono della pratica sportiva in età adolescenziale. Qual è la causa di questa decrescita nella pratica sportiva?
Una motivazione è sicuramente il sovraccarico di impegni, anche scolastici, ed una visione ormai obsoleta ma purtroppo ancora diffusa secondo cui lo sport è nemico dello studio.
Un’altra causa, forse la più importante, è l’eccessivo valore che si dà alla competitività. Gli interessi agonistici delle società sportive hanno il sopravvento: si spinge sulla selezione di talenti e l’obiettivo di fare sport per il proprio benessere va a farsi benedire. In questa situazione molti ragazzi si sentono inadeguati: per fare un esempio calcistico, passare le domeniche in panchina già in tenera età, giocando solo qualche scampolo di gara, spegne la passione, e invita all’abbandono. La scarsa preparazione di alcuni istruttori e allenatori e le aspettative deluse di certi genitori, poi, fanno il resto.
Un Festival dello Sport con l’obiettivo di avvicinare più pubblico possibile alla pratica sportiva sarebbe una opportunità di informazione da non perdere.
Così com’è, l’iniziativa finisce per aumentare il divario tra chi è uscito vincente nello sport e chi, non avendo raggiunto risultati di rilievo, può solo sognare guardando i campioni dal divano di casa.
In alternativa, a nostro avviso, bisognerebbe sì mantenere la sfilata di stelle dello sport, necessaria a conservare alto il livello del pubblico partecipante, attratto dall’opportunità di incontrare i propri beniamini, chiedere autografi, scattare con loro un selfie, e non c’è motivo di negarglielo. Ma anche proporre temi di discussione che mettano al centro l’attenzione alla salute e l’opportunità offerta dalla pratica sportiva, in misura maggiore di quanto sia stato proposto in questa edizione del Festival.
Sarebbe un bel successo riuscire a mettere le scarpe da ginnastica ai piedi di chi, non essendo riuscito a raggiungere alti livelli di performance sportiva, sublima consumando dosi massicce di sport sul divano di casa, davanti alla TV.